Curiosità

Sulle sponde del mare. Racconto di Mola di Bari e delle sue tradizioni orticole

Sulle sponde del mare. Racconto di Mola di Bari e delle sue tradizioni orticole

Mola di Bari è un comune costiero in cui, da sempre, l’agricoltura ha un ruolo rilevante. Sono note in tutta Italia le varietà locali di carciofo (il ‘Locale di Mola’) e di olivo (la ‘Cima di Mola’) che si coltivano a Mola e che hanno fatto la fortuna di numerosi agricoltori e imprenditori dell’agroalimentare. Il ‘Pomodoro di Mola’ è una varietà locale, nonché un prodotto tradizionale, che viene coltivato soprattutto nei campi più vicini al mare (“i pénne” – la “e” senza accento è muta) e sono apprezzati da tutti per la loro sapidità, tanto da alimentare un interessante commercio anche fuori regione (i più anziani ricordano le lunghe teorie di carri che, a notte fonda, partivano per raggiungere i mercati). Anche se diversi agricoltori molesi coltivano spesso varietà migliorate e commercializzate dalle ditte sementiere, a Mola è ancora presente l’antica varietà del pomodoro di Mola. 

A Mola di Bari, negli stessi campi dove tempo fa il carciofo locale trionfava, ora in estate campeggiano i pomodori di Mola a volte consociati con i fagiolini pinti. Questi pomodori, nettamente distinti da quelli tipo San Marzano, sono ancora ricercati per l’esclusivo sapore che sanno trasferire alle passate di salsa fatte in casa alla vecchia maniera. C’è perfino chi arriva a congelarli nel frigo di casa appena raccolti, per poterne ricavare un’inedita passata e gustarne l’aroma in tutti i periodi dell’anno. Oppure chi ne sceglie i meno maturi e, appena raccolti, li usa per farne insalate di pomodori freschi dal gusto inimitabile.

Ma il vero segreto è celato nella combinazione di questa varietà della tradizione gelosamente tramandata, con il clima mediterraneo particolarmente soleggiato e con l’impiego di un’acqua d’irrigazione leggermente salmastra. Un tempo, l’acqua veniva tirata su dai pozzi poco profondi per mezzo della “noria”, un congegno diffusissimo nelle contrade molesi e costituito da un insieme di due ruote dentate mosse dalla forza di un asino o di un mulo. A quest’acqua lievemente salata si deve il leggendario gusto particolarmente saporito e che impone di “non mettere il sale” sui pomodori perché, a detta dei contadini e degli estimatori molesi, “non ne hanno alcun bisogno!” Se poi alla pasta condita col sugo di questi pomodori si abbinano proprio i fagiolini pinti coltivati negli stessi campi e la ricotta marzotica grattugiata (ricotta dura diffusa nel barese), il piatto diventa qualcosa di speciale.

Una testimonianza delle pratiche e tradizioni appena descritte è riportata nel saggio “Il paesaggio agrario di Mola dagli inizi del Novecento ai nostri giorni”, contenuto nel libro “Mola tra Ottocento e Novecento” (AA.VV., 1985), Magnifico ha descritto così la parte costiera del territorio molese: «Lungo la costa, a pochi metri dal mare alti muri a secco costituivano la prima barriera al mare. Quasi addossati ai muri c’erano i filari di ulivo o di fichi o di fichi d’India. I primi, però, prevalevano sugli altri. La lotta continua con il mare li aveva curvati verso sud; la chioma a nord era fatta di rami secchi, che servivano a proteggere il resto della vegetazione. Fino alla strada statale Adriatica la superficie era sgombra da alberi e destinata a colture erbacee e la rotazione cereale-pomodoro era la norma. I pomodori venivano irrigati con le acque salmastre sollevate dalle norie, cui forniva l’energia un asino o un mulo bendato che per ore girava tirando una barra che metteva in moto il marchingegno per cui i secchi (i galitte da nigiégne) dalla forma dell’apertura caratteristica colmi d’acqua venivano sollevati e rovesciati in una vasca di raccolta (u palemmidde). Da questa, mediante canalette in tufo, l’acqua veniva distribuita sul terreno preparato con cape canêle, canêle, quadre e pertêre». E ancora: «Gli alberi da frutta come ciliegi, meli, peri, albicocchi, peschi, gelsi bianchi, nespoli, susini, noci, ecc. erano disseminati su tutto il territorio, anche se la loro presenza si faceva più frequente soprattutto nelle contrade oltre i sirre, dove Pozzovivo assurgeva al ruolo di frutteto di Mola. Qui, grazie alla terra profonda e ad una ricca falda acquifera più superficiale, era possibile coltivare anche ortaggi durante l’estate e soprattutto meloni, pomodori da serbo e fagioli. (…) Tra le colture erbacee, ovviamente, dominava il grano, ma si coltivavano anche l’orzo e l’avena, che venivano seminati in tutte le superfici libere in rotazione con le leguminose da granella nell’entroterra e con il pomodoro lungo le coste. Con il termine mascìaìse s’intendevano, infatti, le colture miglioratrici in rotazione con i cereali. Questo termine è poi rimasto a Mola ad indicare la sola coltura del pomodoro».