Storia e tradizione del Melone di Brindisi. Bibliografia completa
Le ricerche svolte in merito al ‘Melone di Brindisi’ nell’ambito del progetto BiodiverSO - Progetto regionale “Biodiversità delle specie orticole della Puglia” - BiodiverSO (PSR Puglia 2007-2013 - Misura 214/4 sub-azione “Progetti integrati per la biodiversità)”, hanno permesso il ritrovamento e la catalogazione di numerosi fonte bibliografiche, alcune delle quali risalenti alla prima metà del ‘900, riportate nel presente articolo a dimostrazione dell’importanza storica di questo specifico Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Il contributo si compone di una ricca galleria documentale fotografica, dei cui contenuti si riporta la descrizione di seguito.
Il riferimento bibliografico meno recente negli anni è l'Almanacco illustrato "Il Salento" del 1931 (volume 5), nel quale, alle pagine 13 e 14 (fig. 1, 2) sono descritti i ‘Poponi ‘del Brindisino.
Tra i documenti ritrovati dal Progetto BiodiverSO ritroviamo inoltre il trattato “Ortaggi di grande reddito” (Tamaro, 1937). Una copia di questo trattato di orticoltura industriale (composto da due volumi) è attualmente conservata presso la biblioteca del Dipartimento DISAAT della ex-Facoltà di Agraria di Bari.
L’estratto del trattato è dedicato a ‘I poponi brindisini’ in cui si racconta come la coltura industriale dei meloni fosse molto diffusa nell’agro di Brindisi, e che le varietà coltivate fossero ben note anche all’estero, in particolare per quelli ‘invernali’. Tamaro cita quale sua fonte il dott. Francesco Arnese, uno sperimentatore pugliese appassionato di orticoltura, il quale suggeriva la seguente distinzione per le principali ‘razze’ coltivate in Puglia: 1) ‘Morettino’, descritto come «retato, a fuso, sempre verde, d’un solo fondo, senza fette»; 2) ‘Gialletto’, «tutto giallo, di forma sferica o sferoidale,(…), polpa soda e croccante, a sapore dolce e profumata, (…), varietà di lunga conservazione invernale»; 3) ‘Squisito gialletto listato verde’, ritenuto essere un incrocio con il ‘Morettino’; 4) ‘Morettino non retato’, giudicato di minore pregio; 5) ‘Egiziano’, «a frutto voluminoso, di forma cilindrica o tondeggiante, corteccia color bianco sporco, con macchie rugginose, (…), polpa bianco nivea, (…) di minor pregio, ma di maggiore produttività e precocità»; 6) i meloni ‘Zuccherini’, «a frutto medio odoroso, sferico, schiacciato o ellissoide, di scarso valore».
Sul numero 3 (anno II) del 1° febbraio 1953 del settimanale "il Cittadino indipendente della domenica", stampato a Brindisi, fu segnalata l'istituzione «in Brindisi di una Borsa merci e di un mercato all'ingrosso» nell'articolo in prima pagina "Borsa merci e mercato all'ingrosso". Nell’articolo (fig. 3) Mario Farina sottolinea alcuni dati «di produzione e di esportazione dei prodotti della nostra terra» tra cui 150.000 quintali di "Melloni" (fig. 3).
Un riferimento ai meloni di Brindisi con foto è presente nel libro “Coltivazioni erbacee” (Pantanelli, 1955) (fig. 4).
In un articolo di Vittorio Marzi (divenuto poi professore ordinario di Coltivazioni Erbacee presso la Facoltà di Agraria di Bari), intitolato “La coltura del cocomero e del mellone in Puglia ed il miglioramento della tecnica colturale” (1960), viene evidenziato che La Puglia era tra le principali regioni produttrici di melone e cocomero negli anni ‘50: la superficie media annua era di circa 5.000 ha (il 17,7% dell’intera produzione nazionale), con una produzione media di 777.140 quintali (delle quali 537.570 di melone). Tra i maggiori centri di produzione vi era la provincia di Brindisi, nella quale tuttavia proprio in quegli anni iniziava una graduale sostituzione con impianti di vigneto, a motivo della maggiore redditività del settore vitivinicolo e della crescente difficoltà di collocamento del prodotto sul mercato, dovuta anche alla crescente diffusione della coltura in altre zone, in particolare a Manfredonia nella provincia di Foggia (fig. 5).
In relazione alle cultivar più diffuse, il dott. Marzi cita l’articolo “Mellonicoltura e melloni brindisini” (Arnese, 1931) secondo il quale si possono distinguere quattro tipi principali di melone coltivati in Puglia. Secondo l’autore, un aspetto comune a tutti i tipi descritti è uno sviluppo vegetativo rigoglioso e rapido, mentre la maturazione è un po’ tardiva, di solito verso i primi di agosto, tranne che per i tipi zuccherini più precoci. L’autore sottolinea che questi tipi erano considerati tra i migliori ‘poponi’ invernali coltivati in Italia in particolare per le caratteristiche organolettiche, e ben noti con il nome di ‘meloni brindisini’.
Altri riferimenti al ‘Melone di Brindisi’ si ritrovano sul quaderno n. 18 dell’E.N.S.E. (Ente Nazionale Sementi Elette) intitolato “La produzione del seme di cetriolo, cocomero e melone” (Durante, 1962), nel quale viene riferito che la Puglia vantava il primato nella coltivazione del melone, con una superficie media di 4.517 ha ed una produzione media di quasi 760.000 quintali.
Il rapporto dell’E.N.S.E. riporta i nomi delle cultivar di melone, locali o d’importazione più coltivate in Italia in quel periodo. Con riferimento alla cultivar ‘Brindisino’ questa viene descritta come cultivar «a frutto ovale, grande, del peso di 3-5 kg, serbevole, buccia liscia e gialla, polpa bianca e liquescente» (fig. 6).
Nel catalogo Ingegnoli del 1965 era riprodotta una foto del ‘Gialletto di Brindisi’ (fig. 7, 8).
Nella pubblicazione di Bianco (1979) sono riportate foto del “Brindisino allungato”, del “Brindisino a fasce” e del “Brindisino sub-sferico” (fig. 9).
Ancora, nel libro “Puglia dalla terra alla tavola” (AA.VV., 1990), a pagina 352 viene presentata la cucina della provincia di Brindisi con queste parole: «Nel Brindisino (...) La cucina, fatta di pochi piatti base, ha le sue antiche radici e il suo orgoglio nei frutti di mare e nel pesce, e nei profumi dell'orto: tra tutti trionfa quello dei meloni e dei poponi» (fig. 10, 11).
Infine nel testo “Orticoltura” (Bianco e Pimpini, 1990) si riferisce che nel “Catalogo comune delle varietà di specie di ortaggi” pubblicato nel 1986 dalla CEE erano iscritte oltre 300 cultivar, di cui l’Italia deteneva il maggior numero di iscrizioni, tra le quali si cita la cultivar di melone ‘Brindisino’ (fig. 12).
Fonte articolo: BiodiverSO.