Curiosità

L’ortaggio “capriccioso” del Salento. Il cavolo mùgnolo

L’ortaggio “capriccioso” del Salento. Il cavolo mùgnolo

«Gliê migneluse» ("È piagnucolone") si dice di una persona che per un nonnulla si mette a piangere o che di tutto si lamenta in modo fastidioso e irritante; altresì comune è l’espressione popolare «ogni riccio è un capriccio», secondo la quale si ritengono capricciose le persone coi capelli vistosamente arricciati – la parola capriccio si compone, infatti, dei termini “capo” e “riccio”.

Cosa c’entrano questi detti popolari con i PAT pugliesi?

Nel Salento, e non solo, è coltivata un’antica varietà locale progenitrice del cavolo brocco, i mùgnuli, cui nome è utilizzato anche per indicare i capricci dei bambini. Questo ortaggio presenta un’infiorescenza simile a tanti piccoli ricci (fig. 1), e si differenza dal cavolo broccolo per alcuni particolati caratteri, come infiorescenze più spargole e piccole, sapore più dolce. Il ciclo colturale di questa varietà è prevalentemente autunno-vernino, periodo dell’anno giusto per gustarli. Il fiore è bianco, le piante possono raggiungere altezze di 120-150 cm e diametro di 80-100 cm. Il prodotto edule è rappresentato dalle infiorescenze o “cime”: la più grossa è quella situata all’apice dello stelo principale, le secondarie si formano all’ascella delle foglie e sono più piccole. Nell’orto, alla coltura del cavolo viene dedicata sempre poca superficie, da un filare di 20 piante a 2 are; infatti, quasi sempre viene coltivata per l’autoconsumo, motivato da un attaccamento ad un’antica tradizione alimentare.

La parentela con il cavolo broccolo è intuibile, oltre che per la somiglianza delle infiorescenze, per la composizione chimica dei loro glucosinolati, i composti a spiccata azione antitumorale presenti nella famiglia delle brassicacee. Nei mùgnuli sono presenti la glucobrassicina, la neoglucobrassicina e la glucorafanina, in modo preponderante. Quando i tessuti di questi ortaggi vengono rotti, i glucosinolati entrano in contatto con l’enzima mirosinasi, che a valle produce composti reattivi come isotiocianati, nitrili, tiocianati e indoli. La glucobrassicina e la neoglucobrassicina originano, rispettivamente, indolo-3-carbinolo e 1-metossi-indolo-3-carbinolo, mentre la glucorafanina è il precursore del sulforafano. Tutti questi prodotti di degradazione dei glucosinolati possiedono importanti attività biologiche e diversi studi sperimentali hanno dimostrato che hanno un alto potenziale di prevenzione e cura del cancro.

Oltre avere tali pregevoli qualità salutistiche, i mùgnoli sono tradizionalmente legati al territorio salentino. Già un secolo fa Albino Mannarini nella monografia “Orticoltura Salentina” (1914) riportò tre varietà di mùgnuli presenti nel Salento leccese: praecox, major e serotina. La prima viene chiamata anche “mùgnulettu”: ha un accrescimento contenuto e viene coltivata in terreni leggeri, la sua produzione è precoce e limitata, ma organoletticamente gradevole; per questo motivo viene molto ricercata dagli appassionati di questa verdura. Le varietà major e serotina hanno accrescimento maggiore e vengono coltivate in terreni più fertili; inoltre, la serotina è anche più tardiva.

Il forte attaccamento territoriale al mùgnulo, ortaggio antico del Salento, è inoltre dimostrato dai diversi appellativi con i quali viene indicato nei comuni salentini: mùgnulu (Galatina), spuntature leccesi (Lecce), còvulu povareddhu o pezzenti (Alessano), càulu paesanu (Diso), còvulu scattunaru o brocculeddhi (Tricase), pezzenteddhi (Martano). 

Ma le coltivazioni di mùgnulo non si limitano solamente all’area salentina della Puglia. Il progetto BiodiverSO ha, infatti, trovato un’interessante eccezione in agro di Altamura dove, da ben tre generazioni, è coltivato il “mugnolicchio” di Altamura. Il nome locale di “Mugnolicchio” indentifica con precisione una delle forme antiche di broccoletto diffuse in Puglia e coltivate nella Murgia barese solo da orticoltori che ne conservano il seme tramandandoselo da generazioni. Nonostante sia a forte rischio di estinzione, questa varietà tradizionale è ancora apprezzata soprattutto ad Altamura ed in altre località come Santeramo in Colle. Le piante, che possono raggiungere un’altezza di 40-60 cm ed un diametro di 45-55 cm, hanno il fiore bianco e sono caratterizzate da numerose infiorescenze o “cime” che permettono più raccolte, effettuate scalarmente, sulla stessa pianta. Può essere seminata annualmente e in questo caso si procede con un’unica raccolta primaverile. Alcuni piccoli agricoltori lasciano le piante in campo durante il periodo estivo, ottenendo così la possibilità di una seconda raccolta (meno produttiva) in autunno.

I mùgnuli possono essere consumati o sbollentati, con l’aggiunta di olio extravergine d’oliva, sale e limone (fig. 2), oppure possono essere utilizzati in gustose ricette regionali; nel Salento (in particolar modo a Lecce, dove i mùgnoli sono comunemente conosciuti con il nome di “Spuntature leccesi”) è comune utilizzarli per la preparazione della “massa di San Giuseppe”, antica ricetta di pasta (massa), con ceci e mùgnoli, che è compresa tra le tredici pietanze cerimoniali, preparate il 19 marzo in onore di San Giuseppe e servite ad altrettanti ospiti, un tempo i poveri del paese, che impersonano ognuno un santo differente.

Fonte articolo: BiodiverSO.