Storia e tradizione delle ‘Cimamarelle’. Bibliografia completa
Nel presente articolo si riporta la bibliografia completa della ‘Senape’ o ‘ Cimamarelle’, pianta della famiglia delle Crucifere, raccolta in tutto il tacco d’Italia durante l’interno anno e dal 2017 prodotto agroalimentare tradizionale della regione Puglia. I riferimenti bibliografici sono riportati in ordine cronologico decrescente.
Il riferimento bibliografico più recente tra quelli riportati nel presente articolo è dal “Piccolo erbario cerignolano” (Pergola e Dicorato, 2003) del quale riportiamo ciò che viene scritto a proposito della senape nera (scient. Sinapis arvensis, dial. Cimamarelle): «Qui vi sono tre piante dette marasciuole, cimamarelle e cime di rape, mentre i semi della senapa coltivata servono per le salse, e sono un rimedio tonico, febbrifugo, antiscorbutico, diuretico (F. Cirillo, Cenno storico della città di Cerignola, Cerignola, Pescatore, 1914, p. 47). Le cimamarelle, più gustose dei marasciule, vengono solitamente lessate e – unite agli spaghetti – insaporite saltandole in padella con dell’olio d’oliva in cui si è fatto soffriggere aglio, diavelicchie e mollica di pane casereccio molto raffermo. Le cimette si preparano anche in Pregatorie, mettendole in una sartàscene con olio, aglio, peperoncino, sale e pochi pomodorini, cucinandole con coperchio e a fuoco lento». Nel volume è presente anche un interessante proverbio che si riporta di seguito:
«Verde e specåte i cemederåpe de l’urtelåne
nu mazze de rafanidde, monzegnore senza cappidde»
(Traduzione: verdi e sfiorite le cipe di rape dell’ortolano
un mazzo di ravanelli, monsignore senza cappello).
D’Ambrosio nel libro “Tra anima e corpo – Cibo tra alimentazione in Puglia nei secoli XVIII e XIX” (1995), cita il consumo della Senape nel Monastero di S. Agnese a Trani e Gravina riportando anche la frequenza mensile di questo alimento (fig. 1, 2).
Nel capitolo "Con gli ortaggi e le erbe spontanee" all'interno del libro “La cucina pugliese in oltre 400 ricette” (Sada, 1994), nell'elenco delle specie spontanee utilizzate nella cucina pugliese, viene riportata la "Senape selvatica (Sinapis erucoides): marascìuole (Capitanata), apudde (Barese e Tarantino), cramasciùlu (Salento)” con evidente confusione tra le specie botaniche.
Ancora Sada nel libro “La cucina della terra di Bari” (1991), a pagina 65, riporta questo: «Così pure non dirò diffusamente delle piante spontanee che vengono consumate crude o cotte: l’acetosa minore, l’asfodelo (la cui fecola serviva, in tempi di carestia, a confezionare il pane), il babbagigi, il bacicci, la borragine, il cappero, il cardo selvatico, la cicerbita, la crepide, il crescione, la porcellana, la rapa selvatica, la senape selvatica.» (fig. 3).
Nel libro “Puglia dalla terra alla tavola” (AA.VV., 1990) Domenico Pinto, nel saggio “I prodotti tipici della terra pugliese. Dalla produzione alla distribuzione”, a pagina 36 (in alto), riporta questo: «[In Puglia alla semplicità della] tradizionale cucina a base di erbe spontanee (ruca, senape, cicoria, ecc.) [, si è aggiunto il culto per la buona cucina].» (fig. 4). Inoltre, a pagina 50, esalta la senape: «Molto ambita dai vegetariani pugliesi è la senape. Introdotta dopo la rivoluzione industriale, viene coltivata nel Nord-Europeo in pieno campo per usi non alimentari. Con fusto eretto, radici fittonante, foglie pennatosette e infiorescenza apicale bianca, questa veneranda piantina è rinvenibile, ovunque, dopo i mesi di ottobre-novembre. Cruda nell’insalata e lessata e condita con olio vergine di oliva (“crudo” o soffritto con aglio), accompagnata a vermicelli e olio piccante (con peperoncino), la senape assicura il suo contributo benefico all’organismo. Essa stimola l’utilizzazione del fosforo, inibisce le fermentazioni putride, è antisettica per i contenuti di isosolfocianato di allile. Nel basso Tavoliere è chiamata “sanapiedi” per la sua capacità di sciogliere gli acidi urici» (fig. 5).
Paolo Brunori (1966) citò anche i “sinipi” tra i prodotti ortofrutticoli della gastronomia pugliese nell’articolo “Dal Gargano l’invito del sud ai turisti della buona cucina” (fig. 6).
Nel “Manuale pratico di orticoltura moderna” (Baldrati, 1957) vengono descritte due specie: la senape bianca (Sinapis alba) e la senape nera (S. nigra) (fig. 7).
Nel periodico mensile della Fiera del Levante di Bari edito nel 1931 (fascicolo aprile - numero unico) “Fiera del Levante 6-21 settembre 1930 - VIII, Bari nella sua genesi e nella sua realizzazione” sono i prodotti della città di Bari oggetto di esportazione tra cui la senape:
«(…) Fra tutte le città del Reame di Napoli, che l’Adriatico bagna, Bari siede la più fiorente e popolata per 30.000 abitanti e meglio. La Provvidenza sembra abbia segnato per essa un alto destino di prosperità, facendola ricca di prodotti della terra, che formano l’oggetto del suo commercio di esportazione, come cereali, civaie, olio d’oliva, mandorle, fichi, vino, spirito, gomma e posatura di vino, potassa, carrube, semi di anici, finocchio, senape, comino, robbia, lana, galla ecc.» (fig. 8).
De Cesare (1859) nel libro “Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre provincie di Puglia", nel quarto capitolo "Delle produzioni spontanee", scrive questo: «Ricco di svariate produzioni spontanee è il suolo Pugliese; ma io terrò discorso di quelle sole che per la loro utilità e per gli usi costanti e proficui assai più giovano alle classi agricole; e ciò per la esatta esposizione degli elementi economici che io voglio descrivere, e se fia possibile anche migliorare ed aggrandire nell'interesse delle Provincie pugliesi. Dolci e tenerissime sono le cicorie che i terreni sostanziosi e freschi producono in grandissima quantità. Da questo prodotto la femminetta ricava non solamente il cibo cotidiano per la sua fa- miglia; ma eziandio la sua giornata, massime in primavera quando le cicorie talliscono e formano il prediletto cibo delle classi agiate. D'uso universale per le plebi sono pure: il sevone selvaggio (souchus oleraceus): i bulbi del Mascari camosum detti volgarmente lambascioni; le tenere cime della fergola (ferula communis); le cimamarelle (sinapis geniculata); la ruca (diplotaxis tenuifolia); i carduncelli (carduus marianus); la ieta (beta maritima); le spine di sepe (licium europaeum); il pungilopo (ruscus aculeatus); l'ardicola (urtica dioica); i lupuli (humulus lupulus).»
Della Martora (1846) nel testo “La Capitanata e le sue industrie sommariamente descritte”, a pagina 132, riporta ‘Cimamarelle’ tra le “Erbe selvagge mangerecce” (fig. 9).
Altri riferimenti bibliografici:
Figura 10
Titolo: Notizie sulle condizioni economico-sociali ed igienico-sanitarie della popolazione di Capitanata;
Autore: Giovanetti Giovanni;
Contributore: Medolaghi Paolo, Valentini Ettore;
Dati Editoriali: Foggia: Zorel;
Data di pubblicazione: 1925.
Figura 11
Titolo: La Capitanata, Foggia e il suo clima: desunto da 30 anni di osservazioni sulla specola meteorico-sismica;
Autore: Nigri Vincenzo;
Dati Editoriali: Sansevero: E. Dotoli [San Severo (FG); Dotoli];
Data di pubblicazione: 1914.
Figura 12
Titolo: Atti del R. Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali economiche e tecnologiche di Napoli, serie 2, vol. 6 (1869);
Contributore: Reale Istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali;
Anno: 1869;
Fascicolo: serie 2, vol. 6;
Dati Editoriali: Napoli [s. n.]
Figura 13
Titolo: Il presente e l'avvenire della provincia di Capitanata;
Autore: Staffa, Scipione;
Dati Editoriali: Napoli: Stamp. Vico S. Girolamo;
Data di pubblicazione: 1860.